
Colleferro, al teatro Vittorio Veneto si apre il sipario: in scena I Mezzalira
Il 6 gennaio alle ore 18.30 nel Teatro Vittorio Veneto di Colleferro, prenderà il via la stagione teatrale 2023, con lo spettacolo I MEZZALIRA Panni sporchi fritti in casa, con Agnese Fallongo, Tiziano Caputo, Adriano Evangelisti di Agnese Fallongo per la regia di Raffaele Latagliata.
𝑆𝑒 𝑒̀ 𝑣𝑒𝑟𝑜 𝑐ℎ𝑒 𝑙𝑎 𝑠𝑎𝑔𝑔𝑒𝑧𝑧𝑎 𝑝𝑜𝑝𝑜𝑙𝑎𝑟𝑒 𝑖𝑛𝑠𝑒𝑔𝑛𝑎 𝑎 𝑐𝑒𝑙𝑎𝑟𝑒 𝑙𝑒 𝑞𝑢𝑒𝑠𝑡𝑖𝑜𝑛𝑖 𝑓𝑎𝑚𝑖𝑙𝑖𝑎𝑟𝑖 𝑎𝑙𝑙‘𝑖𝑛𝑡𝑒𝑟𝑛𝑜 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑒 𝑚𝑢𝑟𝑎 𝑑𝑜𝑚𝑒𝑠𝑡𝑖𝑐ℎ𝑒, 𝑒̀ 𝑎𝑙𝑡𝑟𝑒𝑡𝑡𝑎𝑛𝑡𝑜 𝑣𝑒𝑟𝑜 𝑐ℎ𝑒 𝑞𝑢𝑒𝑙𝑙𝑒 𝑚𝑢𝑟𝑎 𝑛𝑜𝑛 𝑠𝑒𝑚𝑝𝑟𝑒 𝑏𝑎𝑠𝑡𝑎𝑛𝑜 𝑎 𝑐𝑜𝑛𝑡𝑒𝑛𝑒𝑟𝑒 𝑖 𝑠𝑒𝑔𝑟𝑒𝑡𝑖, 𝑖 𝑡𝑎𝑏𝑢̀ 𝑒 𝑖 𝑛𝑜𝑛 𝑑𝑒𝑡𝑡𝑖 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑓𝑎𝑚𝑖𝑔𝑙𝑖𝑎 𝑀𝑒𝑧𝑧𝑎𝑙𝑖𝑟𝑎. 𝑈𝑛 𝑟𝑎𝑐𝑐𝑜𝑛𝑡𝑜 𝑡𝑟𝑎𝑔𝑖𝑐𝑜𝑚𝑖𝑐𝑜 𝑐ℎ𝑒, 𝑎𝑖 𝑡𝑜𝑛𝑖 𝑏𝑟𝑖𝑙𝑙𝑎𝑛𝑡𝑖 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑐𝑜𝑚𝑚𝑒𝑑𝑖𝑎 𝑎𝑙𝑙’𝑖𝑡𝑎𝑙𝑖𝑎𝑛𝑎, 𝑚𝑒𝑠𝑐𝑜𝑙𝑎 𝑙𝑒 𝑡𝑖𝑛𝑡𝑒 𝑓𝑜𝑠𝑐ℎ𝑒 𝑑𝑒𝑙 𝑔𝑖𝑎𝑙𝑙𝑜 𝑒 𝑑𝑒𝑙 𝑡ℎ𝑟𝑖𝑙𝑙𝑒𝑟.
Il botteghino riapre il 5 Gennaio 2023 dalle ore 15.30 alle 19.30 per la vendita dei biglietti.
PREVENDITA ONLINE www.liveticket.it
Gli abbonamenti fino alla riapertura del botteghino potranno essere prenotati scrivendo nella chat di Facebook Messenger pagina del Teatro Vittorio Veneto Colleferro, oppure alla mail teatrocomunalecolleferro@gmail.com
Dopo Letizia va alla guerra – la suora, la sposa e la puttana e …Fino alle stelle! – scalata in musica lungo lo stivale, spettacoli con i quali si sono posti all’attenzione della critica e del pubblico negli ultimi anni, Agnese Fallongo e Tiziano Caputo tornano con un nuovo progetto dal titolo insolito e curioso: I Mezzalira – panni sporchi fritti in casa, terzo capitolo che conclude la “Trilogia degli Ultimi” iniziata dalla Fallongo con la scrittura dei primi due.
Accanto a loro Adriano Evangelisti che, dopo averli diretti in Letizia va alla guerra, questa volta li affiancherà sul palcoscenico dando corpo e voce al protagonista – narratore della storia. La regia è affidata ancora una volta a Raffaele Latagliata, che già aveva firmato quella di …Fino alle Stelle!, ad ulteriore conferma dell’ormai consolidato sodalizio di questo collettivo artistico.
Il titolo I Mezzalira – panni sporchi fritti in casa nasce da un gioco linguistico che crea una fusione tra il celebre detto popolare “i panni sporchi si lavano in casa” e il concetto della “frittura” come simbolico spartiacque del binomio più antico della storia: quello tra servo e padrone, tra chi produce l’olio e chi lo possiede, tra chi può friggere tutti i giorni e chi non può friggere mai.
Se è vero che la saggezza popolare insegna a mantenere celate le questioni familiari all’interno delle mura domestiche lontano da occhi indiscreti, è altrettanto vero che quelle mura non sempre bastano a contenere i segreti, i tabù e i non detti della famiglia Mezzalira, protagonista del racconto, che, proprio come l’olio delle olive che raccoglie, scivola in una spirale di infausti accadimenti che la indurranno, inevitabilmente, a scendere a patti col mondo esterno.
Il tutto visto e raccontato da Giovanni Battista Mezzalira detto “Petrusino”, il più piccolo della famiglia che, una volta adulto, traccerà un vero e proprio arco della sua esistenza, in un caleidoscopio di ricordi che attraverseranno una vita intera, una vita fatta di luci, ombre e colpi di scena all’interno del medesimo focolare domestico.
Petrusino sarà costretto a fare i conti con i fantasmi del passato per poter scendere a patti con il presente, scoprendo di non essere stato il solo a custodire un segreto.
Un racconto tragicomico che, ai toni brillanti della commedia all’italiana, mescola le tinte fosche del giallo e del thriller e che invita lo spettatore a guardare attraverso il buco della serratura di una casa “qualsiasi” per rintracciare il proprio personalissimo passato, e ricostruire così la propria storia, la storia della propria famiglia… non sempre perfetta.
Una scena astratta ed essenziale ma dal grande rigore estetico, realizzata da Andrea Coppi, fa da ideale cornice alle vicende di questa storia ambientata in un tempo/non tempo e in un luogo/non luogo, e restituita attraverso un linguaggio dal sapore dialettale e inconfondibilmente nostrano che non si cristallizza in un unico dialetto o nei vari dialetti regionali che caratterizzano la nostra penisola, ma tende piuttosto ad una forma meticcia e di pura fantasia, nella quale il pubblico può riconoscere una sfumatura del proprio vernacolo, ma mai una vera e propria appartenenza.
La stessa linea stilistica della scena la ritroviamo anche nei costumi, realizzati da Daniele Gelsi.
La narrazione delle vicende, in cui tragedia e commedia si confondono continuamente, procederà attraverso una girandola vorticosa di ricordi rivissuti dal nostro protagonista, ma restituiti sempre “in assenza”. Egli presterà la voce al sé stesso bambino, al sé stesso ragazzo e al sé stesso uomo, ma in realtà sarà sempre assente dalla scena. L’intera vicenda familiare, seppur legata dal fil rouge della narrazione, si estrinsecherà per lo più in forma dialogica e gli altri personaggi si relazioneranno sempre con lui, ma questi rimarrà defilato fisicamente dalla scena in modo che il passato, quello cui la memoria del protagonista/narratore riesce a dare forma, venga incarnato nel presente, disarticolando e riarticolando il tempo della storia nel tempo del racconto e non necessariamente seguendo una coerenza spazio-temporale. Il nostro protagonista ricomporrà gli accadimenti a suo piacimento stabilendo da subito un rapporto diretto con gli ascoltatori.
L’obiettivo è quello di recuperare la potenzialità della grande tradizione orale italiana in cui, per mezzo della rievocazione, ciascun individuo possa ricostruire e dare forma al suo passato. Ma, in questo caso, il tempo passato del monologo prefigurerà quello che per il pubblico è ancora a venire. Il racconto, quindi, renderà il futuro un futuro sul quale non si potrà più agire, nonostante la continua speranza di poterlo fare.
Infine la narrazione alternerà alla parola dei contrappunti sonori, realizzati in scena dagli attori stessi per restituire le atmosfere e creare suggestioni. Si ricorre, invece, alla musica, composta appositamente da Tiziano Caputo per lo spettacolo ed eseguita rigorosamente dal vivo, ogni qual volta le parole, non potendo reggere il peso del sentimento, debbano essere sublimate attraverso il canto. È un canto dell’anima, un canto di condivisione, un canto ancestrale di ritrovata connessione con la parte più profonda del nostro essere e con la terra d’appartenenza.