
I Prenestini nell’antichità: alle origini di un territorio
Uno studio che parte dallo scritto di Giovanni Teodori per parlare dell’ eredità storica dei Monti Prenestini. L’approfondimento di Brain Community
Nella “mission” dell’associazione Brain Community c’è la salvaguardia del territorio e delle sue ricchezze che non sono solo biodiversità, ma sono fatte di storia, archeologia, di memorie e identità. Oggi Brain Community, attraverso lo scritto di Giovanni Teodori vuole parlarvi della eredità storica del nostro territorio, partendo dall’antichità.
I Prenestini nell’antichità
Il territorio dei Monti Prenestini, esteso lungo una direttrice nord-sud, grossomodo tra basso Aniene e Tivoli a Settentrione, e Palestrina con la bassa valle del Sacco a Meridione, è sempre stato un crocevia di traffici, popoli, comunicazioni.
Siamo al confine tra i Latini e le genti montanare di stirpe osco-umbra che abitavano i primi rilievi appenninici, a partire dal versante orientale dei nostri monti: i misteriosi Equi, il cui territorio si estendeva sino al Cicolano (lago del Salto e dintorni), confinando a est con i Marsi.

A nord abbiamo la valle dell’Aniene, che, seguendo il tracciato della futura via Tiburtina Valeria, costituiva già allora un fondamentale snodo commerciale con l’interno. Tivoli stessa, punto di incontro tra Latini e Sabini, sorgeva in una posizione ideale per controllare la transumanza delle greggi tra Lazio e Abruzzo, già allora fiorente secondo la direttrice est-ovest.
L’altrettanto importante Praeneste, la moderna Palestrina, affacciata sulla valle del Sacco, era invece orientata verso il Meridione, in posizione tale da controllare agevolmente i traffici che percorrendo il basso Lazio andavano verso la Campania, attraversando il territorio volsco e aurunco.

I Latini intorno al VII-VI secolo a.C. si trovavano stretti tra i territori controllati dalla più grande civiltà che il centro-nord avesse fino ad allora conosciuto, quella etrusca. Organizzato originariamente attorno a una lega di 12 città(dodecapoli) tra Toscana ed alto Lazio (da cui l’appellativo di Tuscia) questo popolo viveva allora il suo apogeo commerciale e politico. I Tirreni, altro loro nome, erano riusciti con una serie di importanti acquisizioni e una alleanza paritaria con Cartagine – diretta a fermare l’espansione greca nel Mediterraneo occidentale – ad allargare ulteriormente il territorio sotto la loro giurisdizione, arrivando a costituire altre due dodecapoli, quella campana e quella padana. Il Latium Vetus, di cui il versante occidentale dei Prenestini costituiva la propaggine orientale, era stretto tra il territorio etrusco originario e la sua appendice campana.

Da qui l’esigenza etrusca di controllare in qualche modo i Latini, con alterne fortune. L’influsso etrusco fu comunque importante, con i tre re etruschi a Roma e una influenza artistica e politica evidente, che riguardò anche Tivoli e soprattutto Praeneste, il cui territorio ci ha restituito meravigliose vestigia artistiche di stampo etrusco-orientalizzante. La dialettica tra Etruschi e Latini portò questi ultimi a costituirsi nella Lega Latina, erede della antichissima Lega dei popoli albensi capeggiata da Alba Longa. Intorno all’inizio del V secolo a.C. assistiamo a un venir meno della supremazia etrusca sul Lazio e a un crescere della importanza della Lega Latina, che si espande verso il Liri e stringe un patto di parità con Roma, appena costituitasi in repubblica.
Questa alleanza nasce anche dalla comune esigenza di proteggersi dalle incursioni delle genti osco umbre, che dalle dorsale appenninica stavano travolgendo le colonie greche ed etrusche in Campania, tra cui l’etrusca Capua e la greca Paestum. Nel Lazio gli osco-umbri, col nome di Equi e Volsci, premevano da est e da sud: una potente minaccia che Romani e Latini non avrebbero mai potuto affrontare divisi. Dopo il 396 a.C., anno della caduta di Veio, la prima grande città della dodecapoli originaria a cadere in mano romana, i Latini, completamente affini ai Romani per lingua e cultura, cominciano a temere la crescente potenza dell’Urbe, avviatasi a sostituire gli Etruschi come grande decision maker dell’area laziale.

Inizia così una fase di conflittualità che vede prevalere Roma, che scioglie la Lega Latina e stipula patti con le singole città. Passiamo così da una dialettica tra blocchi uniti su base paritaria, ad una configurazione politica a mosaico, con a capo l’Urbe capitolina. Da allora le città latine, legate con patti diversi di alleanza (cum o sine suffragio) all’Urbe, seguirono il destino di Roma fornendo contingenti militari, i cosidetti socii latini, schierati in battaglia ai fianchi (alae)delle legioni, muniti del loro equipaggiamento originale, con un contributo triplo in termini di cavalleria.
Da questa soluzione politica di un conflitto derivavano grandi benefici agli alleati di Roma, specie per le loro elites. La guerra annibalica costituì il vero banco di prova e l’apogeo di questo patto tra Roma e le classi dirigenti latine e in generale italiche, un patto che si incrinò solo con la durissima guerra sociale del secondo decennio del primo secolo, terminata con la concessione della cittadinanza a tutti gli italici. Da allora tutta la Penisola divenne ager romanus. Sia a Tivoli che a Palestrina abbiamo importantissime testimonianze del periodo, dal santuario di Ercole Vincitore ai i due templi repubblicani di Vesta e della Sibilla a Tivoli, fino al santuario della Fortuna Primigenia, mirabile esempio di architettura repubblicana di ispirazione ellenistica, realizzato però con la tecnica costruttiva tutta italica del cementizio.
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