
Luoghi da record, 6 bellezze da vedere nei Monti Prenestini
Dal vicolo più stretto al presepe più alto d’Europa
Forse un record o un primato, siano essi mondiali o regionali, valgono per quello che effettivamente sono, ma nel concreto possono raccontare il fascino e la curiosità di un luogo, un motivo in più per visitare i Monti Prenestini. Tra le tante curiosità scovate nel territorio sono 6 i luoghi che primeggiano in questa speciale classifica.
1) Il vicolo più stretto del Lazio
Tra i 35 vicoli che disegnano e delimitano lo sperone su cui si erge il magnifico centro storico di Poli ne troviamo uno particolare. Largo solo 51 centimetri con ristrettezze che scendono anche fino ai 40 centimetri in alcuni punti. Si chiama Vicolo Veronici ed è una piccola stradina tagliata nel tufo su cui si affacciano diverse abitazioni. In passato era una delle vie di fuga del Castrum e pare fosse utilizzata come una trappola per i nemici. In Italia Poli si contende questo primato con Rejecelle, dove esiste un vicolo largo appena 34 centimetri e Ripatransone, in provincia di Ascoli Piceno, che vanta una stradina larga appena 43 cm all’imboccatura, ma irregolare, tanto che nel punto mediano misura soli 38 cm. Anche Zagarolo vanta un vicolo molto stretto in questa speciale classifica: è il vicolo Baciadonne (chiamato così perché se una donna dovesse incontrare un uomo sul tragico non avrebbe altra possibilità che baciarlo).


2) Cave – Il presepe più alto d’Europa
È meglio conosciuto come il presepe monumentale di Cave e le opere che ne fanno parte sono il frutto dell’estro dello scultore e sindonologo Lorenzo Ferri. All’artista è dedicato il museo omonimo il quale non ospita soltanto il presepe, ma anche altre opere di grande valore artistico. Le statue del presepe sono ubicate in una sezione distaccata del museo Ferri di Cave e precisamente nelle sale ipogee dell’ex convento degli Agostiniani, oggi adibito a comune.
I personaggi che compongono il presepe sono alte più di 4 metri e rappresentano gli elementi essenziali della natività, ovvero Giuseppe, Maria, il bambinello, i tre Magi ed i loro paggi.
Le statue sono state realizzate in “rocchi” sovrapposti di gesso e poi ricoperte di una patina bronzea.
La storia del presepe, risale al 1946, quando i padri Teatini di Sant’Andrea della Valle di Roma, indirono un concorso per la realizzazione di un’opera raffigurante il grande mistero dell’adorazione dei Magi nella grotta di Betlemme. Le nuove statue, avrebbero dovuto sostituire quelle di cartapesta già esistenti, realizzate nel 1846 dall’artista Pietro Cantagalli, autore anche del presepe in Piazza San Pietro a Roma.
Il Maestro Ferri vinse il concorso e si mise all’opera. Il nuovo presepe si sarebbe dovuto comporre di 9 statue alte tra i 3 ed i 4 metri, smontabili in rocchi sovrapposti. La monumentale realizzazione, mise a dura prova il Maestro originario di Mercato Saraceno (Forlì) a causa delle dimensioni e dei problemi da risolvere circa la scenografia che avrebbe dovuto accogliere il presepe.


3) Genazzano – L’infiorata più lunga del mondo
L’Infiorata Genazzano è il cuore di un paese portato nelle vie e per le piazze, è la cultura e la tradizione messe in scena dai nonni con l’aiuto dei figli e dei nipoti, è il passato, il presente e il futuro che lavorano fianco a fianco. Le origini di questa festa risalgono al 1883. La Processione del Sacro Cuore (Sacra Rappresentazione – 400 figuranti) sfila, nel pomeriggio, sul tappeto floreale. Il primato realizzato nell’edizione del 2012, “l’Infiorata più grande del mondo” (the largest flower petal carpet), esclusivamente con petali di fiori freschi, certificato dal Guinness World Records di Londra: mq. 1642,57 senza soluzione di continuità, è il punto di eccellenza, motivo di prestigio e di orgoglio.


4) Zagarolo – Museo del giocattolo più grande d’Italia
Palazzo Rospigliosi a Zagarolo custodisce uno dei musei del giocattolo più grandi d’Europa e sicuramente il più ricco ed esteso del Bel Paese. Un vero e proprio excursus nella storia del giocattolo del Novecento, con incursioni anche in epoche precedenti, nell’artigianato e in un certo senso nel costume dell’epoca.
Il museo, il cui nome per esteso è Museo Demoantropologico regionale del Giocattolo di Zagarolo, nacque grazie ad una delibera comunale del 1998, e all’acquisizione da parte dell’amministrazione locale di alcuni pezzi da collezioni private. Oggi si estende per circa 1400 metri quadrati, ed espone più di 800 giocattoli di tutto il mondo, tra cui pezzi antichi e rari, oltre che oggetti da collezione di marchi che hanno fatto la storia. In realtà sono una parte della collezione è esposta, tanto è grande. Su 14 sale espositive sono visibili giochi suddivisi per tematiche, ed arrangiati in modo da proporne una sorta di storia cronologica ed evolutiva. Una sala è dedicata alle bambole, un’altra al modellismo, una alle costruzioni, un’altra ancora ai giochi didattici e così via.
Alcuni tra i più importanti giocattoli in esposizione sono bambole con la testa in biscuit della collezione di Nella Crestetto Oppo, studiosa, esperta e collezionista di giocattoli. Vi è anche una rara versione giapponese di questo tipo di bambola. E accessori, vestiti, piccoli servizi di porcellana. Un gioco del domino antico nella sua scatola di legno originale.
5) Guadagnolo – Centro abitato più alto del Lazio – Santuario mariano più antico d’Italia
Meta di pellegrinaggi per il suo meraviglioso Santuario della Mentorella e di trekking, per i suoi bellissimi percorsi naturalistici, Guadagnolo vanta anche un primato particolare: quello di essere il centro abitato (non comunale) più alto del Lazio. La sua storia è strettamente collegata con il Santuario della Mentorella, situato su una rupe a picco sulla valle del Giovenzano, che risale al IV sec. d.C., che è ritenuto il più antico Santuario mariano d’Italia e forse d’Europa, meta abituale di fedeli che salgono a deporre le loro preghiere ai piedi della Vergine, oltre che a S. Eustachio (un martire locale) e San Benedetto.
Il villaggio si dice nato all’epoca delle incursioni barbariche, quando i romani, fuggiaschi, si sarebbero stanziati nei pressi di un antichissimo fortilizio, del quale restano solo i ruderi di una torre precedente il V secolo. Secondo altri il nucleo originario sarebbe stato costruito dai contadini che lavoravano le terre di appartenenza dei Monaci del Santuario, come avvenne negli antichissimi Monasteri di Cassino, di Subiaco e vari altri luoghi. Secondo lo studioso Padre Atanasio Kircher, un insigne monaco del XVII sec., il nome Guadagnolo deriverebbe dai piccoli guadagni che locandieri e osti ricavavano dai pellegrini che si recavano a visitare il Santuario.
A metà del XII secolo, Guadagnolo, insieme alla vicina Poli, furono ceduti da Oddone III alla celebre famiglia Conti che ne rimase in possesso per circa sei secoli finché, nel 1808 passarono per eredità alla famiglia dei Duchi Sforza Cesarini e, da quest’ultima, nel 1820, alla famiglia Torlonia.
Guadagnolo prima del 1870 era un comune autonomo e vista l’estensione del territorio, nonostante la scarsa popolazione (meno di 500 abitanti), contava sulla pastorizia, le colture di cereali e fieno, prodotto dall’altopiano denominato “Prati”, della raccolta di frutti. Inoltre poteva vendere la legna dei boschi di alto fusto che coronavano alla base le alte scogliere dolomitiche, sul cui vertice si ergeva il pittoresco borgo, dove la salubrità del clima, aveva creato una vera vita patriarcale, felice e beata!
Dopo il 1870 dovette rinunziare alla sua indipendenza e legarsi a Poli, il quale aveva scarsissime risorse e fece davvero poco per questa frazione, facendogli perdere gran parte di ciò che l’antico Comune di Guadagnolo s’era creato. Così il 28 marzo 1929, quando ci fu il distacco da Poli, a seguito di un referendum, e si unì a Capranica Prenestina, la frazione non aveva acqua potabile, la viabilità era pessima, non c’era la scuola, il medico, l’ostetrica e persino la chiesa, ormai vetusta, era cadente. Sulla sommità del paese si ergeva, infatti l’antica Chiesa di S. Giacomo Apostolo a pianta rettangolare, divisa da due archi a tutto sesto, con il soffitto a cassettoni verdi e rossi al cui interno, era collocato un affresco cinquecentesco della Madonna, S. Sebastiano ed altri Santi. Purtroppo nel 1950, nonostante le richieste di restauro fatte dalla comunità locale a partire dal 1931, la chiesa crollò. Successivamente fu ricostruita dove l’osserviamo oggi, prima di arrivare nella piazza principale detta un tempo del SS. Salvatore.
Tra le prime richieste fatte al Comune di Capranica ci fu la realizzazione della strada tra Capranica e Guadagnolo, completando quella sino a Palestrina. Nel 1931 erano urgenti i lavori anche sulla statua del Redentore che era stata colpita da un fulmine nel 1921 e la testa, caduta a terra, era conservata sulla base della stessa, nella cappelletta. Distrutta completamente nel 1955 da un altro fulmine, la statua fu sostituita da un’altra più grande di bronzo, nel 1976, dello scultore Elverio Veroli.

6) Palestrina – Mosaico ellenistico più grande d’Italia
Si tratta di una grande carta geografica dell’Egitto in veduta prospettica, in cui è raffigurato il Nilo durante l’inondazione, nel suo percorso dall’Alto Egitto, ai confini con l’Etiopia (in alto), fino alla costa mediterranea (in basso). La sua datazione è stata a lungo discussa, ma ormai sembra accertato che l’opera debba risalire alla fine del II sec. a.C. Una conferma a questa cronologia proviene dalla sua collocazione originaria. Esso infatti costituiva il pavimento dell’abside di fondo di una grande aula situata nel Foro di Praeneste, in un complesso di edifici costruiti proprio in quel periodo, nell’ambito di una globale risistemazione urbanistica della città. L’aula absidata può essere identificata con un ambiente dedicato al culto di una divinità egiziana, Iside o Serapide, e quindi il soggetto del mosaico non aveva solo una funzione puramente ornamentale, ma probabilmente sottolineava il rapporto con l’Egitto. I contatti fra Praeneste e questo paese, connessi soprattutto alle intense attività commerciali dei prenestini in Oriente, dovettero essere talmente intensi e consistenti da investire anche l’ambito del culto, tanto che, fin dal II sec. a.C., si verifica l’identificazione fra le divinità di Fortuna Primigenia e Iside. Questa grande composizione è attribuibile all’opera di quegli artisti alessandrini ricordati dalle fonti, che sappiamo lavorarono in Italia già dal II sec. a. C., quali per esempio quel Demetrio detto “il Topografo”, cioè pittore di paesaggi, che già nel 165 a. C. si era stabilito a Roma.
