
Ucciso per un errore, Zagarolo ricorda Antonio Fabrini
Il 24 Marzo 1944 è la data dell’eccidio delle Fosse Ardeatine. I 335 civili e militari italiani furono fucilati dai nazisti tedeschi come rappresaglia per l’attentato partigiano in Via Rasella, a Roma (23 Marzo 1944).
Il Sindaco di Zagarolo, Lorenzo Piazzai
L’Amministrazione comunale e la Comunità di Zagarolo ricordano il concittadino Antonio Fabrini, arrestato il 14 Marzo 1944 e barbaramente freddato nell’esecuzione nazista delle Fosse Ardeatine Dopo l’attentato partigiano in Via Rasella, Antonio Fabrini rientrò nell’elenco della fucilazione soltanto all’ultimo, quando morì un altro soldato tedesco e, per la fretta, un errore nel conteggio degli ufficiali tedeschi condannarono altre quindici persone, e non dieci. L’eccidio delle Fosse Ardeatine è il colpo di coda della Seconda Guerra mondiale: ricordare è l’unica strada per comprendere e perseguire una società solidale, aperta e tollerante.

Di seguito riportiamo la storia di Antonio Fabrini (1900 – 1944) in un interessante approfondimento redatto da Francesca Massimiano (Liceo Scientifico I. Vian – Bracciano 1)
Questi sono i ricordi di Clara Fabrini, una bambina alla quale la guerra, il 24 Marzo del 1944, nell’Eccidio delle Fosse Ardeatine, ha portato via il padre. Un tentativo per non dimenticare.
Avevo nove anni, abitavo a Roma in Via Tirso 17 con il mio papà Antonio, che aveva 44 anni, mia madre Teresa e mia sorella più grande. Mio padre mi adorava e mi portava sempre con sé, quasi come se vedesse in me quel figlio maschio che aveva desiderato ma non era arrivato ed io ricambiavo il suo amore. Aveva un negozio da stagnaro in via Metauro e alcune persone lavoravano per lui, la sua attività andava bene e a casa non ci faceva mancare nulla. In quegli anni ogni tanto, papà riceveva degli amici e con loro si chiudeva in salone. La porta era sempre chiusa e se allora non capivo cosa facessero, mi sarebbe stato molto più chiaro in seguito… Mi sembrava che a mia madre queste riunioni non piacessero molto, così non mi sorpresi quando mi accorsi che proseguivano nel retro bottega del negozio. Questi incontri continuarono fino a quando mio padre fu arrestato.
Era il 14 Marzo 1944. Mentre tornavo da scuola mi venne incontro un lavorante di mio padre e istintivamente chiesi dove fosse: quell’uomo mi rispose che era stato arrestato dai tedeschi. Ero incredula, mi sembrava impossibile! Il racconto del lavorante continuò: lo avevano trovato nel negozio e il tentativo di uno dei suoi dipendenti di avvertirlo per fuggire era andato fallito. Mio padre fu subito portato a via Tasso, un luogo famigerato per le torture che le SS infliggevano agli antifascisti. I tedeschi successivamente vennero a perquisire la nostra casa e il negozio, ma senza trovare elementi che lo incolpassero e che ne giustificassero l’arresto.
In quei giorni terribili mia madre andava a Via Tasso a portare la biancheria pulita per mio padre e quella che riportava a casa era macchiata di sangue, a me si stringeva il cuore, ma cosa avrei potuto fare… Erano passati dieci giorni dal suo arresto, ed io che fino ad allora mi accorgevo del suo ritorno a casa dal tintinnio delle sue chiavi, facevo tante corse inutili verso la porta, che continuava a restare chiusa, deludendo le mie speranze. Mia madre ritornò a Via Tasso, fino a quando le comunicarono che mio padre non era più lì. Non sapendo cosa fare, chiese aiuto a un amico di famiglia, che era intimo conoscente di una signora tedesca: per suo tramite cercava di avere in qualche modo delle notizie. La signora organizzò un pranzo a cui invitò un Tenente tedesco al quale furono dati tutti gli estremi dell’arresto. Dopo poco questa donna ci fece sapere che non c’era niente a suo carico e che quindi sarebbe stato liberato.
Ma siamo al 23 marzo 1944, 25esimo anniversario della fondazione dei Fasci Italiani di Combattimento, quando i partigiani che facevano parte dei Gruppi di Azione Patriottica compirono un attentato a Via Rasella. Al passaggio di un reparto di 156 uomini della Compagnia del Reggimento “Bozen”, scoppiò una bomba collocata in un carrettino per la spazzatura. Nell’esplosione rimasero uccisi trentadue militari tedeschi e ci furono sei vittime civili tra cui un bambino.
La reazione del comando nazista fu immediata: fu deciso che sarebbero stati fucilati dieci italiani per ogni tedesco ucciso. L’ordine di esecuzione in un primo momento riguardò trecentoventi persone, poiché inizialmente erano morti trentadue soldati tedeschi. La rappresaglia avvenne immediatamente e fu affidata al Colonnello Herbert Kappler, coadiuvato dal Capitano Priebke. La maggior parte dei condannati venne prelevata dal carcere di Regina Coeli e dal comando di via Tasso. Durante la notte successiva all’attacco di via Rasella morì un altro soldato tedesco e Kappler, di sua iniziativa, decise di uccidere altre dieci persone. Erroneamente, causa la “fretta” di completare il numero dei destinati alla fucilazione per eseguire la rappresaglia, furono aggiunte cinque persone all’elenco. Fra queste c’era mio padre, Antonio Fabrini.
Mi fu raccontato, che venne portato via dalla sua cella dicendogli che lo avrebbero portato a lavorare. Ma come si può lavorare con le mani legate dal filo di ferro dietro la schiena… Abbiamo impiegato sei mesi per scoprire che fine avesse fatto mio padre e tante erano state le false speranze. Presa dalla disperazione mia madre consegnò l’ingente somma di centomila lire ad un repubblichino, pur di avere informazioni. Costui, infatti, tornò da noi con notizie rassicuranti, ma erano solo bugie. Mio padre era morto il 24 marzo 1944 nell’Eccidio delle Fosse Ardeatine. 9
I miei ricordi a questo punto diventano confusi, ma è ancora viva nella mia mente l’immagine delle grotte: una fila interminabile di bare bianche era illuminata da una luce fioca. 10
Oggi Clara Fabrini vive a Grottaferrata, nonna e madre affettuosa e lucida. Grande è stata la commozione colta nel suo sguardo e nella sua voce. Nonostante siano trascorsi sessanta- cinque anni, rabbia e dolore non trovano rassegnazione. La madre di Clara morì appena alcuni mesi dopo l’uccisione del marito. Ammalata di polmonite si abbandonò al dolore per la perdita del suo sposo. Clara e sua sorella furono affidate ad un tutore: erano rimaste sole ed erano minorenni. Clara crescendo capì che il padre quando si ritrovava con i suoi “amici”, aiutava i partigiani e per questo fu arrestato e ucciso. Il desiderio, nel raccontare la sua semplice storia che la accomuna a tante altre persone, è che si continui a ricordare e che i giovani di oggi facciano tesoro di un passato doloroso che forse ad alcuni di loro appare tanto lontano.
L’eccidio delle Fosse Ardeatine è diventato un simbolo della “Lotta di Liberazione”, dell’eroismo dei combattenti per la libertà e un sicuro monito contro le nostalgie per quel regime e per quel periodo storico. Le vicende personali delle famiglie superstiti e dei tanti che furono testimoni di innumerevoli eventi dolorosi, a ricordare sono soprattutto donne, mostrano come le generazioni del dopo guerra abbiano convissuto e convivano ancora, con una drammatica eredità: le Fosse Ardeatine restano un simbolo per la coscienza del popolo italiano.