
Domenica porte aperte alle dimore storiche. Le 7 meraviglie dei Monti Prenestini
Visite gratuite all’immenso patrimonio del territorio. L’iniziativa della Regione Lazio
Dopo il successo dell’ultima edizione, domenica 17 Novembre torna l’appuntamento della Regione Lazio con la “Giornata di apertura straordinaria delle Dimore storiche” per offrire a tutti l’opportunità di visitare gratuitamente l’immenso patrimonio di dimore, ville, parchi e giardini storici del territorio, decine di luoghi di grande fascino e incanto che arricchiscono tutte le province del Lazio.
Con la Rete delle Dimore storiche, la Regione Lazio ha avviato un grande progetto di valorizzazione dello straordinario patrimonio storico, paesaggistico e architettonico dei propri territori per costruire e sviluppare un nuovo modello di turismo sostenibile e competitivo.
Ecco le dimore storiche dei Monti Prenestini

CASTELLO COLONNA – GENAZZANO
La storia del Castello è legata alla famiglia Colonna che nel corso del tempo – grazie ad ampliamenti, modifiche e opere di abbellimento – ha trasformato il Castello da semplice fortezza difensiva in residenza padronale di grande rilievo artistico e architettonico. Risale al 1053 il passaggio ai Colonna che realizzarono una prima roccaforte, mentre solo intorno al XIII secolo furono avviati i lavori per adibire la struttura ad avamposto difensivo.
Importanti trasformazioni avvennero con Ottone Colonna, divenuto Papa nel 1417 con il nome di Martino V, che fece restaurare la parte ovest del castello per adibirla a sua residenza. Sotto il suo pontificato, si ebbero importanti trasformazioni urbane e il Castello abbandonò definitivamente le sue origini di rocca militare per trasformarsi in lussuosa dimora signorile.
Grandi cambiamenti furono apportati poi da Filippo I Colonna, Signore di Genazzano, tra il 1611 e il 1639. Gli interventi più importanti riguardarono la sopra-elevazione dell’ala orientale e il rifacimento del torrione nord-est, in cui fu inserito il suo appartamento privato, con una cappella affrescata dal pittore Marzio Ganassini nel 1616.
Successivamente il Cardinale Girolamo promosse ulteriori cambiamenti, tra cui il rifacimento del loggiato del cortile, facendo così assumere al Castello l’assetto attuale.

PARCO DEGLI ELCINI – GENAZZANO
L’area del Parco degli Elcini è legata al complesso del Castello Colonna. Nel cortile di quest’ultimo si trovano un pozzo e una fontana ottagonali, di periodo rinascimentale, voluti da Filippo Colonna. Entrambe le strutture ricevevano l’acqua dall’acquedotto romano, i cui resti permangono ancora nell’attuale giardino comunale, una volta parco privato della famiglia e concesso poi in affitto come terreno agricolo nel 1800.
La storia dell’acquedotto è legata anch’essa, come il Castello, alla famiglia Colonna che nel corso del tempo, grazie ad ampliamenti, modifiche e opere di abbellimento, ha trasformato il Castello da semplice fortezza difensiva in residenza padronale di grande rilievo artistico e architettonico.
Già nel 1053 il possedimento era tra i beni della potente famiglia e il parco era considerato il giardino della famiglia. Nel lato occidentale del Parco degli Elcini sono ancora visibili i resti dell’antico acquedotto romano, fatto ricostruire da Filippo l Colonna, duca di Paliano, per fornire acqua al Castello. La parte terminale dell’acquedotto, utilizzato anche come ponte per l’accesso al castello, venne distrutta dai bombardamenti dell’ultima guerra. L’acquedotto fu poi ricostruito, a una sola campata e in cemento armato, dal Genio Civile.
L’antico acquedotto convogliava le sorgenti di Colle Sant’Andrea fino alla fontana del Palazzo, dove tutta la popolazione poteva attingere.

NINFEO DI BRAMANTE – GENAZZANO
Il complesso rinascimentale denominato Ninfeo di Bramante è una pregevole architettura risalente ai primi anni del XVI secolo, attribuita al noto architetto e pittore Donato Bramante (1444-1514), uno dei maggiori uomini d’arte del Rinascimento.
La grandiosità e magnificenza di questa imponente opera, che coniuga le reminiscenze della classicità romana con le aspirazioni del classicismo rinascimentale, sono volte a creare un luogo suggestivo e magico, appartato sul bordo di un corso d’acqua e circondato dal verde dove il progettista ha voluto dare vita a un’armoniosa interazione tra l’uomo e la natura, testimoniando modelli di vita e di costume dell’aristocrazia rinascimentale.
L’attribuzione del Ninfeo a Bramante è indiscussa, vista la presenza di elementi stilistici caratterizzanti il suo operato, quali le serliane con i 5 oculi nelle archivolte o l’estensione delle disposizioni ma anche per i singoli motivi come la profilatura di parti costruttive portanti e l’ornamento tipico a conchiglia. Si tratta infatti di motivi comuni usati nei primi decenni del ‘500 dal Bramante e dai suoi allievi.
PALAZZO COLONNA MARCUCCI – OLEVANO ROMANO
Il Palazzo si trova all’interno del Castello di Olevano Romano, pregevole esempio di fortificazione medioevale del XIII secolo. Conserva quasi per intero le strutture originarie, appena adattate alle esigenze espositive e abitative. Si presenta come un edificio dall’aspetto austero, su 4 livelli.
Prima benedettino e successivamente passato ai Colonna, il palazzo è quindi diventato proprietà dei Borghese fino all’inizio del ‘900.
Abbandonato da allora nella totale incuria e ridotto a poco più di un rudere pericolante anche per il disinteresse delle istituzioni pubbliche che ne avevano rifiutato l’acquisizione, il complesso è stato rilevato intorno al 1970 dalla famiglia Marcucci, che lo ha riportato alla sua antica unità, eseguendo un restauro conservativo e funzionale.
Il Castello nel suo insieme, con le aree della corte, la cappella e la torre, vede oggi nel suo corpo centrale il Palazzo, un prezioso esempio di gestione privata dei beni culturali in partnership con le istituzioni e le realtà associative del territorio.
Il restauro, guidato dall’Ing. Montanari con la consulenza di Luigi Marcucci e il controllo dell’Arch. Meli della Sovrintendenza, ha permesso di connettere le strutture portanti, i solai e il tetto, rispettando le tipologie esistenti, anche avvalendosi di tecniche e materiali di provenienza per lo più locale. I lavori di restauro – che finora hanno abbracciato un periodo di 40 anni – sono stati meticolosi, attenti al rispetto dei manufatti originali. Ad esempio, le perdute imposte delle porte sono state sostituite con elementi della stessa epoca, sempre segnalando la ricollocazione, talvolta attraverso riquadrature in ferro. Infine, sono state conservate le 7 entrate dall’esterno per l’accesso ai vari piani, indice di come il Castello e la sua corte costituiscano un unicum architettonico.
Per i collegamenti interni, non essendoci riferimenti certi, si è affidata la realizzazione di scale- sculture ad artisti di valore internazionale. Conclusa la parte statica, sono iniziati i lavori per la messa in ordine delle sale.
Oggi il complesso è in grado di ospitare anche convegni e mostre. Il suo stato di conservazione è buono e gli affreschi saranno oggetto di un prossimo intervento di restauro.

PALAZZO ROSPIGLIOSI – ZAGAROLO
Palazzo Rospigliosi nasce come fortilizio difensivo intorno all’anno Mille, per opera della famiglia Colonna. Distrutto e riedificato più volte da Bonifacio VIII alla fine del XIII secolo e da Eugenio IV nel Rinascimento, trovò il suo massimo splendore quando Zagarolo divenne ducato sotto Pompeo Colonna, luogotenente di Marcantonio II nella Battaglia di Lepanto del 1571. Fu allora che l’edificio venne ampliato aggiungendo 2 grandi ali e con l’abbellimento degli interni, donando al vecchio maniero l’aspetto di una gaudente residenza estiva di campagna.
Numerosi sono gli artisti che hanno lasciato la loro impronta nelle splendide stanze affrescate del Palazzo: dagli affreschi degli Zuccari al Domenichino, dai quadri di Guido Reni alla sistemazione architettonica ad opera di Carlo Maderno.
Nel 1622 Pierfrancesco Colonna, nipote di Pompeo, vendette l’edificio al cardinale Ludovico Ludovisi, grande collezionista d’arte, che arricchì il Palazzo con quadri e sculture; fino a quando, nel 1667, i Rospigliosi lo acquistarono portandolo al centro della vita mondana del ‘700.
Nei primi dell’800 il Palazzo ospitò il convento di suor Maria Bettini, fondatrice della Congregazione delle Figlie della Divina Provvidenza, primo in Provincia di Roma.
Dopo il terribile sisma del 1915, il Palazzo ha accolto gli uffici del municipio.
L’ultima proprietaria fu la principessa Elvina Pallavicini, che nel 1979 lo ha infine ceduto al Comune di Zagarolo.
Attualmente l’edificio ospita, al piano nobile dell’Ala Est, il Museo Demoantropologico del Giocattolo e al piano terra la biblioteca comunale. Il mastio centrale viene utilizzato per manifestazioni culturali (mostre d’arte, concerti, convegni, rappresentazioni teatrali) mentre il giardino pensile ospita spesso matrimoni con rito civile. L’intera location è stata più volte utilizzata come set per film, fiction e documentari.
PALAZZO DORIA PAMPHILJ – VALMONTONE
Palazzo Doria Pamphilj è una delle pochissime strutture superstiti dell’antico nucleo urbano della città di Valmontone, quasi del tutto distrutta dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. Situato in un punto strategico rispetto all’ambiente circostante, si presenta come una soluzione intermedia tra il classico palazzo nobiliare e la fortezza.
L’aspetto fortificato è accentuato all’esterno dai profili angolari a bugne lisce che comprimono l’espansione del volume.
Il Palazzo sorge sulla struttura dell’antico Castello Sforza che venne quasi completamente demolito nel 1652 dai Pamphilj. Quando, nel 1651, il principe Camillo Pamphilj acquista dai Barberini il feudo di Valmontone, si pone l’obiettivo di creare una storta di città ideale, definita dalle cronache dell’epoca “città panfilia”, da interpretarsi come uno degli ultimi riflessi della teoria rinascimentale sulla città. Il Palazzo era solo una parte di questo ambizioso progetto, che comprendeva anche la chiesa vicina e altri edifici. Per realizzarlo, nominò architetto responsabile il gesuita Benedetto Molli che, a sua volta, coinvolse nel progetto alcuni tra i più importanti artisti dell’epoca.
L’edificio, di forma squadrata e struttura massiccia, conta 365 stanze, le più importanti delle quali si trovano al primo piano.
Qui si trovano le 4 stanze degli Elementi (Fuoco, Aria, Acqua e Terra), i 4 camerini dedicati ai Continenti (le Americhe, Europa, Asia e Africa), la Sala del Principe, con le pareti decorate a Trompe-l’œil, e 2 cappelle private, dette “del Padreterno” e “di Sant’Agnese”, patrona dei Pamphilj.
Gli affreschi sono stati realizzati tutti tra il 1657 e il 1661 da artisti quali Pier Francesco Mola, Gaspard Dughet, Guillaume Courtois detto il Borgognone, Francesco Cozza e Mattia Preti.
PALAZZO BARBERINI – PALESTRINA
La parte privata di Palazzo Barberini, tuttora residenza del principe Benedetto, si estende lungo il fronte occidentale dell’antica residenza dei principi di Palestrina, insediatisi qui, a partire dal 1630, in seguito all’acquisto del feudo prenestino dai Colonna. Si differenzia dalla parte pubblica, oggi sede del Museo Archeologico Nazionale, donata allo Stato negli Anni 50 del Novecento.
Il palazzo ha un accesso privato, situato nella laterale Via dei Merli, che conduce al giardino del principe, il cosiddetto Ninfeo Barberini, suggestiva quinta scenografica realizzata nella seconda metà del Seicento. Da qui si accede alle stanze visitabili dell’appartamento tra le quali spicca il Salone di Urbano VIII, un ambiente interamente affrescato dove il pontefice amava accogliere gli ospiti durante i suoi soggiorni a Palestrina.
Lo spettacolo prosegue affacciandosi dal giardino d’inverno sulla terrazza della chiesa di Santa Rosalia, la cappella palatina dei principi Barberini, da cui si gode di una vista mozzafiato su tutto il panorama circostante. La chiesa, terminata nel 1660, è opera dell’architetto Francesco Contini. Il suo interno si presenta completamente decorato in stile barocco con apparati marmorei di rivestimento arricchiti da un ciclo di sculture opera di Bernardino Cametti. La tela di Francesco Reali, copia di Carlo Maratti, rappresenta Santa Rosalia che difende la città di Palestrina dalla peste. Nella Sala dei Depositi, musealizzata di recente, sono conservate alcune sepolture di famiglia. Qui è stata esposta anche la Pietà di Palestrina, opera attribuita a Michelangelo, oggi conservata alla Galleria dell’Accademia di Firenze.