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Ma chi sono questi “cinesi”. Le false paure e l’integrazione ai Monti Prenestini


Il Coronavirus ha riacceso i riflettori sulla discussa immigrazione orientale. Siamo andati a vedere quali sono le storie “vere”, lontano dai pregiudizi e false paure

Hanno tra i 18 e i 54 anni di età, sono residenti stabili ai Monti Prenestini da almeno 5 anni e si definiscono anzitutto come “italiani”. È la fotografia dei cittadini di nazionalità cinese residenti ai Monti Prenestini, su cui nelle ultime settimane si è concentrata l’attenzione di tutti i media a seguito della diffusione del Coronavirus. Una parola che fa paura e che genera in molti casi fenomeni di allarmismo ingiustificato, come quello diffuso via social che avvisa tutti i consumatori di non frequentare negozi cinesi. 

La bufala sarebbe motivata dai presunti contatti degli esercenti italiani con i distributori orientali potenziali untori, ma la realtà racconta ben altro. La maggior parte degli ordinativi avviene oggi online e così fanno anche i grossisti di Roma e provincia e, visto che il virus si trasmette per contatto tra esseri umani e non (evidentemente) tra cose, la preoccupazione non ha motivo di esistere. Inoltre si tratta di epidemia e non di pandemia, stante la localizzazione che al momento, dati scientifici alla mano, porta ad escludere una diffusione su scala più ampia o addirittura globale così come erroneamente il tam tam sui media e poi sui social ha portato a far credere.

Sfatato il cieco allarmismo e andando a conoscere un po’ più da vicino gli immigrati orientali, scopriamo che oggi a ben vedere questi megastore, dove è possibile trovare davvero di tutto, di cinese hanno ben poco. O meglio, non si tratta più di negozi “radical China” come negli anni ’90 quando iniziò l’invasione cinese in provincia di Roma, ma tra i banchi e negli stessi posti di lavoro si nota un consistente fenomeno di integrazione. Ecco allora trovare prodotti di grandi marchi della distribuzione europea e persino lavorazioni di artigianato locale al fianco ai prodotti di largo consumo. Ma ciò che sorprende è la straordinaria percentuale di italiani alle dipendenze, che arriva in taluni casi, come nel megastore Slima di via Prenestina Nuova a Palestrina, anche al 50%. 

Lo abbiamo fatto per una questione linguistica ma anche culturale – spiega a Monti Prenestini Lusy. È un modo per far sentire la nostra vicinanza alla clientela, per rispondere al meglio ai loro bisogni, ma è anche un segnale di integrazione nel territorio. Io vivo qui da 11 anni – continua Lusy – e mi sento una cittadina prenestina. Purtroppo per alcuni non è così, ancora ci etichettano come cinesi e non magari per quello che siamo. Voglio dire invece che siamo semplicemente mamme, papà, lavoratori che hanno fatto questa scelta lontano dalla propria Patria, ma nella vita di tutti i giorni siamo tutti uguali, con gli stessi bisogni e necessità”.

LA STORIA DI LILLI

Quando Lilli decise di aprire tre anni il suo primo ristorante non ebbe alcun dubbio sul nome. “Ho scelto di chiamarlo Fortuna, in omaggio a Palestrina e alla sua Dea – confida a Monti Prenestini. Eravamo tutti entusiasti e ancora oggi mi piace molto. Noi oggi ci sentiamo palestinesi a tutti gli effetti, viviamo qui da 20 anni, abbiamo tanti amici e ci troviamo bene”.

Anche qui lavorano italiani, sia in cucina che in sala, anche in questo caso è stata una scelta precisa della proprietà. Nessuno tra quelli intervistati (molti di loro hanno scelto di non parlare per una questione di riservatezza) ha manifesatto la volontà di ritornare in patria. Anzi, c’è chi come Elena sogna di sposarsi, avere dei figli e continuare negli studi.

Ho lasciato i miei genitori in Cina, nella loro zona non c’è il pericolo del virus e sono relativamente tranquilli. Tutti ci auguriamo che possa presto finire e che ciascuno sia libero di viaggiare”.

Lusy, Lilli ed Elena attraverso il loro lavoro veicolano ogni giorno lo sviluppo di silenziosi processi di integrazione dal basso, offrendo a una multietnica ed eterogenea clientela una pluralità di merci e servizi. Hanno preso il posto di mobilifici, ludoteche, concessionarie e supermercati in crisi rivalorizzando in molti casi gli edifici fatiscenti e producendo economia sul territorio.

Secondo gli ultimi dati Istat, risalenti a un anno fa, sono 22.815 i cittadini di nazionalità cinese residenti in maniera stabile in provincia di Roma. Di questi 250 vivono ai Monti Prenestini con questa distribuzione: Valmontone 62, Palestrina 51, Colleferro 50, San Cesareo 30, Zagarolo 21, Genazzano 9, Cave 8, Gallicano nel Lazio 5, Colonna 4, Olevano Romano 5, Labico 5. 

Forse ancora sui documenti la nazionalità conta qualcosa, ma nella vita di tutti i giorni, al bar, a scuola, a una festa o al ristorante, ha ancora così senso parlare di nazionalità?

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